Nel giugno del 1942, quando don Giovanni Fornasini celebrò la sua prima Messa nella chiesa parrocchiale di Porretta Terme, avevo concluso la terza ginnasio nel Seminario arcivescovile di Villa Revedin a Bologna. In quegli anni non ebbi molti contatti con don Giovanni.
Ricordo che nei mesi estivi andavamo insieme all’arciprete don Goffredo Minelli, con i seminaristi più grandi (don Giovanni Fornasini, don Arturo Fabbri e don Giorgio Vannini ) al Santuario della Madonna del ponte per il Rosario.
Ricordo che era amico dei ragazzi di Porretta con cui si ritrovava all’estate per stare con loro e organizzare momenti di svago.
In seguito, dopo il 1942, non ci sono state occasioni di incontro.
In ottobre del 1944, quando don Giovanni fu ucciso, mi trovavo a Porretta, dove erano giunte e si erano fermate le truppe degli Alleati, mentre la zona da Silla a Bologna era sotto il controllo tedesco. La parrocchia di Sperticano, dove don Giovanni era stato mandato nel 1942 appena sacerdote, si trovava in questa zona.
Fu dopo il 22 aprile 1945 con la liberazione di Bologna che si ristabilirono le comunicazioni nell’ambito della provincia e della diocesi. E noi che eravamo sotto il controllo degli Alleati apprendemmo delle stragi compiute dai nazisti, fra cui la uccisione di don Giovanni Fornasini.
Certamente non avrei mai immaginato che un giorno avrei compiuto degli studi proprio sui resti scheletrici di don Giovanni Fornasini. Nell’ottobre del 2011 mi fu richiesto dal Postulatore della causa di Beatificazione di occuparmi come antropologo della ricognizione dei resti scheletrici attribuiti a don Giovanni Fornasini che erano sepolti nella Chiesa di Sperticano e debbo dire che è stata una esperienza carica di emozioni sia lo studio e l’identificazione dei resti, sia la ricostruzione degli ultimi eventi della sua esistenza.
La ricognizione dei resti scheletrici è stata eseguita da una commissione di esperti formata da antropologi (prof. Fiorenzo Facchini e prof.ssa Mara Giovanna Belcastro della Università di Bologna), da medici legali (Prof. Susi Pelotti della Università di Bologna, e prof. Adriano Tagliabracci della Università di Ancona) e dal sig. Antonio Todero, tecnico della Università di Bologna).
La fine della vita terrena di don Giovanni è avvolta nel mistero.
Era un sacerdote che si prodigava per tutti, senza risparmiarsi. Si preoccupava dei vivi, quando incombeva qualche pericolo, e anche dei morti, perché non fossero abbandonati e avessero una sepoltura. Ciò non accadde per lui e per altri in quei terribili momenti di ostilità selvaggia.
Don Giovanni era difensore delle persone più deboli. Portava con sé l’olio santo per l’unzione delle persone in prossimità della morte o appena morte, e anche un vasetto di profumo per contrastare il cattivo odore dei cadaveri a volte in putrefazione. E pensare che il suo corpo è rimasto esposto alle intemperie per diversi mesi (ben sei mesi!), abbandonato, dietro il muro del cimitero di san Martino. Fu scoperto dal fratello il 22 aprile 1945, il giorno dopo la liberazione di Bologna dove erano giunte le truppe polacche. Il fratello era salito da Sperticano a san Martino alla ricerca del fratello scomparso da mesi, zona considerata assai pericolosa, e presso il muro del cimitero vide alcuni cadaveri, fra cui quello del fratello.
Il cadavere era ancora rivestito dell’abito talare. La testa appariva staccata dal tronco.
Ma che cosa era successo dopo quel saluto dato ai suoi cari la mattina del 13 ottobre 1944, quando alla mamma che gli chiedeva quando sarebbe ritornato Don Giovanni aveva risposto: “quando torno mi vedrete….”?
E’ difficile, impossibile ricostruire ciò che realmente è accaduto in quel giorno, ma qualche cosa si può desumere proprio dalle osservazioni fatte sui resti scheletrici nella ricognizione che è stata fatta. In varie parti dello scheletro sono state notate fratture e incrinature imputabili a violenze che lo hanno portato alla morte, in particolare nel cranio, piuttosto danneggiato, specialmente nella faccia, nella scapola destra, nelle coste dalla V alla X sempre nella parte destra. Nella IV vertebra cervicale è stata notata alla radice del processo trasverso una incisione lunga 13 mm e profonda 1-2 mm con aspetti di taglio, interpretabile come lesione intenzionale. La lesione potrebbe avere determinato un cedimento delle parti molli favorendo il distacco del cranio dal tronco nei sei mesi intercorsi tra la morte e il rinvenimento del cadavere, con perdita di qualche porzione del cranio, essendo rimasto il cadavere (sempre rivestito dell’abito talare), esposto ai vari agenti esterni (intemperie e animali).
Una riprova delle ferite che hanno portato alla morte si è avuta dal test “Luminol” eseguito sugli abiti che rivestivano il cadavere quando fu ritrovato. Il test viene utilizzato per mettere in evidenza eventuali tracce di sangue in un reperto. Il test, eseguito dalla commissione che ha esaminato i reperti scheletrici, ha rivelato una fluorescenza evidente, persistente e circoscritta in alcune aree del collarino, in particolare nella parte destra. La stessa reazione si è osservata nell’abito talare nella parte superiore destra. Questi rilievi, che rivelano evidenti tracce di sangue, appaiono coerenti con la lesione da taglio osservata nella IV vertebra cervicale.
Presumibilmente, dopo essere stato gettato a terra, quando era riverso sul fianco sinistro, don Giovanni è stato pestato, come si rileva da varie lesioni su alcune ossa del lato destro dello scheletro. La più grave ferita c’è stata in corrispondenza della IV vertebra cervicale in cui si osserva una lesione riferibile ad arma da taglio sul collo, l’unica parte, con la faccia, che era scoperta, dalla quale deve essere uscito molto sangue.
Nell’insieme diverse parti dello scheletro rivelano chiari segni di violenze che hanno portato don Giovanni alla morte in modi che non si registrano per altri pure uccisi dai nazisti. Viene da chiedersi il perché di questo accanimento che presenta aspetti di carattere vendicativo o punitivo. Forse era un prete che disturbava qualche ufficiale nazista a motivo di quanto poteva conoscere e soprattutto per il suo prodigarsi per gli altri, specialmente i più deboli, come le ragazze che la sera prima aveva protetto dai progetti malvagi di un ufficiale tedesco?
Senza pietà è stata anche l’uccisione di altri sacerdoti, fra cui don Ferdinando Casagrande, di cui pure ho esaminato i reperti. La morte gli fu provocata con due proiettili sparati sull’occipite e nel parietale destro, forse dopo averlo fatto inginocchiare. Era sulla strada con la sorella , che pure fu uccisa sulla strada dove si trovavano. Macellati come agnelli, martiri di una furia diabolica.
Ma l’accanimento contro don Giovanni è stato anche più feroce per le numerose violenze praticate prima che gli venisse assestato il colpo finale sul collo.
“In odium fidei?” E’ ciò a cui viene da pensare.
Un pastore, divenuto un agnello immolato per il gregge affidatogli da Gesù.
Fiorenzo Facchini
Sacerdote, Professore emerito di Antropologia della Università di Bologna