Diario pellegrinaggio a Lourdes 11-18 agosto 1936

Diario del pellegrinaggio a Lourdes con UNITALSI

11-18 agosto 1936

 

Dopo 32 ore di treno, tra preghiere e canti, siamo giunti a Tarbes, cittadina a pochi km da Lourdes. I Rosari e i canti divengono più fervorosi e commossi: ci prepariamo a festa e un desiderio vivissimo si legge sui nostri occhi, che, alquanto stanchi, cercano tra quei monti e valli un qualche cosa che non trovano.

Man mano che il treno si avvicina alla meta, il cuore batte più spesso e cominciano a passare davanti alla fantasia come quadri magici la grotta, le visioni, Bernardetta, i malati e i miracoli. Finalmente il treno si ferma, una voce, come una scossa elettrica passa allora per tutti i ragazzi che dice: »Ci siamo!». Una squadra di giovani uomini cattolici, simili ai nostri biscut, ci attendono con le cinghie di cuoio pendenti dalle spalle per trasportare i poveri ammalati, sono i bravi brancardiers, con carrozzelle ed omnibus, che applaudono salutando romanamente.

Siamo a Lourdes. Si scende con gioia indescrivibile nella graziosa cittadina che coi suoi dintorni ha fatto dire all’abate Domenech: «Nei miei lunghi viaggi in Europa, America, Africa e Asia, ho potuto osservare ammirabili paesaggi, tali che difficilmente ne potrò vedere dei più belli, pure Lourdes mi è sempre parso incantevole e sempre lo ammiro con piacere». Certo la Madre di Dio non poteva scegliere un luogo più adatto ai suoi disegni.

Il pensiero di essere nella terra di Bernardetta, nella città di Maria, ha fatto sparire ogni stanchezza e dimenticare ogni disagio. Saliamo in omnibus recitando il santo Rosario, quand’ecco, oh meraviglia, il santuario che si erge solenne monumento dell’arte e della vita cristiana tra le cerulee acque del Gave e il verde sfondo dei monti.

Appena si può si va difilato alla grotta, a salutare l’Augusta Padrona di casa. O che felice momento! Eccola finalmente la bianca statua della Vergine, nel luogo stesso dell’apparizione. Sembra che da lungo tempo Maria vi aspetti. Le ginocchia si piegano senza accorgersene, la mente ed il cuore sono immersi in un lago di pensieri e di affetti insoliti, le prime lagrime cadono, voi siete entrati in un nuovo mondo.

Tutti hanno piena la mente di grazie da chiedere a Maria, guarigioni personali o di cari, conversioni di peccatori, torture di spirito, persone care lasciate alle proprie case con l’angoscia di non poter venire. Se si potesse leggere in quei cuori e udire il dialogo che si apre tra essi e la Vergine che rivelazioni sarebbero mai! Lo si immagina un po’ da quel pregare intenso, da quel baciarla la terra, da quello stendere le braccia come il Crocifisso, da quei fervidi sguardi alla Vergine, da quelle lacrime che scorrono per le guance. Gli inginocchiatoi entro la grotta, ove si celebrano Messe, Rosari e funzioni continue, sono riservati ai sacerdoti, ed è giusto, poiché i sacerdoti sono gli amici e fratelli di Gesù.

I cinque giorni che vi fermate a Lourdes hanno quasi una fisionomia uguale. Ogni giorno carovane di pellegrini di ogni tipo e foggia di vestire, che vanno e vengono, brancardiers che passano portando o tirando nelle carrozzelle i poveri ammalati, la mattina Messe e Comunioni continue, processioni, funzioni che una non aspetta l’altra; oratori che si succedono sulle cattedre a predicare, in ogni lingua, le glorie di Maria, Rosari ed orazioni continue alternate dal canto di inni liturgici e popolari davanti alla grotta, alle piscine e alle chiese, al Calvario, prodigi che avvengono ogni giorno, insomma è un complesso di cose che vi assorbe talmente l’animo e vi commuove profondamente il cuore. Perdete anche l’idea del tempo, vi accade di non sapere più che giorno della settimana sia, sembra una Pasqua continua e voi non vi occupate di altro. Là realmente si vive un’altra vita, si respira un’altra aria, si è come in un lembo del Paradiso.

Chi non vedrebbe volentieri i luoghi di quell’angolo di terra santa tanto caro al nostro cuore, terra che fin dall’infanzia ci fece palpitare di arcane emozioni, quando ci sentivamo narrare i sublimi fatti dell’Antico e Nuovo Testamento?

Ebbene tali sono i luoghi santi della Regina del Cielo, perché la vi è il Tabor, cioè la roccia dove la Vergine apparve candida nelle vesti e circonfusa di splendori di Paradiso; vi è la fontana di Siloe della probatica piscina con le meraviglie divine; là i ciechi vedono, gli storpi camminano (e ve lo dicono le centinaia e centinaia di stampelle appese come trofei là alla grotta), i malati di ogni specie guariscono, e, starei per dire, fin i morti resuscitano, proprio come avveniva in Palestina ai tempi del Salvatore.

E oggi che i popoli, perduti di vista i beni del cielo, non agognano che a quelli della terra, risoluti pur di averli, di ricorrere anche alle rivolte e alle stragi, e il male è arrivato a tanto, che noi siamo forse alla vigilia di tremende catastrofi sociali e proprio in questi giorni dico, alla vista di tanti guai, la Vergine Immacolata scende a Lourdes, e la sua apparizione e i suoi miracoli, in mezzo al buio di questi tempi, diventano un faro luminosissimo, che proietta una luce immensa sulla verità della fede, sull’insegnamento infallibile della Chiesa e sulla pratica della vita cristiana. Dalla grotta di Massabielle, parte il trepido grido di questa Madre Celeste, che, vedendoci sull’orlo dell’abisso, ci richiama indietro, e ci spinge al penitente ritorno a Dio. E là è discesa, non solo per la Francia, ma per tutte le nazioni. E noi dobbiamo pregare la regina della vittoria e della pace, che, elevata fra la maestà dei Pirenei ad arbitra della desolata Spagna, dell’infelice Francia e del tempestoso mondo, faccia trionfare la fede e faccia di questa sera così burrascosa risplendere sull’orizzonte l’arcobaleno.

E ogni volta che si aprono le porte delle piscine, tutti vi rivolgono avidamente l’occhio sperando di vederci uscire un guarito. E quante volte si ripete qui questa meraviglia! Quanti infelici, in tanti anni, hanno trovato in queste acque la fine dei loro dolori. Ma, o carissimi, quali malattie ben più gravi di tutte quelle del corpo si lavano là nel Sangue preziosissimo del Redentore, lunghe corsie di confessionali in tutte e tre le basiliche, come altrettante piscine sono continuamente assiepate di persone che vanno a lavarsi l’anima.

Al comando di bere e di levarsi alla fontana, la SS. Vergine aggiunse quello di mangiare dell’erba che ivi cresceva. Sotto questo simbolo pare abbia voluto significarci il bisogno che noi abbiamo di alimento (a Lourdes si avverano le belle parole scritte sull’abside della basilica del Rosario tutta in mosaico d’oro: «Per Mariam ad Jesum»).

Nel giardino della chiesa, come nel paradiso terrestre, vi è l’albero della vita, che è l’Eucaristia e Maria ci spinge a nutrircene, ripetendoci quelle parole dei Proverbi: «Venite, cibatevi del pane e bevete del vino che vi ho preparato». E appena si rischiara il giorno, i brancardiers sono in moto a portare o condurre alla grotta i loro ammalati, pei quali davanti al cancello è lasciato sgombro uno spazio segnato intorno da un giro di panche. Intanto di dietro, la folla cresce ad ogni momento fino a toccare il parapetto del Gave. È un tempio affollato come nei giorni più solenni, sotto la volta del cielo, alla luce del sole, che lo avvolge nei suoi primi raggi. Sono là che assistono alla santa Messa e si preparano alla Comunione. Ve ne sono di ogni età e condizione, pallidi, macilenti, con occhi languidi e vitrei, che si rivolgono fiduciosi alla candida immagine di Maria. Come aspettano quest’ora! Come è forse parsa lunga la notte! Chi sa se oggi avrò la grazia? Chi sa se Gesù in questa Comunione viene a guarirmi? Oh come si ravvivano nel loro cuore la fede e la speranza, quando il sacerdote, preceduto dal suono cadenzato del campanello, esce dal cancello della grotta e li comunica ad uno ad uno. Che spettacolo! L’ho visto coi miei occhi portando il piattello! Il Signore tante volte fa sentire ai poveri ammalati la sua presenza con miglioramenti o cessazioni istantanee dei loro mali.

Ma queste sono guarigioni isolate, di carattere intimo personale, quasi trionfi privati dell’Eucaristia. Divennero pubblici e solenni nel 1888 in poi e voi vedete là nell’immensa piazza della basilica un grandissimo coro di ammalati, circondati alla loro volta da innumerevoli fedeli, che pregano gridando pieni di fiducia. Questo realmente è il teatro dei trionfi dell’Eucaristia. Par di vedere Gesù vivente nell’Eucaristia, di trovarsi in quelle evangeliche scene meravigliose e patetiche dei lebbrosi, della cananea, del paralitico. Il medico divino entra solennemente portato da un Vescovo: si avvicina ad ogni ammalato, benedice consolando e girando tutto attorno nell’immensa arena, mentre un sacerdote dal mezzo del vasto piazzale pronuncia ad alta voce con sentimenti della più viva fede, ciascuno nella lingua dei suoi malati, le più belle invocazioni, mentre una turba di parecchie migliaia gridando le ripete.

Signore, se voi volete potete guarirmi!.. Signore salvateci, noi periamo!… Signore, colui che voi amate è ammalato!… Signore fate che io cammini, che io veda, che io oda! Tu sei il Cristo figlio del Dio vivente. Osanna, osanna al figlio di Davide! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Ed altre simili.

Oh, allora quei poverini che hanno tanto aspettato questo momento anch’essi invocano e gridano. E con che fede si rivolgono a Gesù. Sono fanciullini paralizzati o ciechi che Gli mandano dei baci o ripetono come ha loro insegnato la mamma: «Signore, guarite Bebè!». Altri stanno muti col labbro, ma nel loro cuore il dialogo è vivo con Gesù! Altri stendono verso di Lui le braccia in atto di supplica. Ne vidi uno far questo atto in tal forma e guardare Gesù in Sacramento con tali occhi di fede, di supplica e fiducia viva, che io ritengo nessuno si sia presentato a domandar grazie al Nostro Signore quando viveva su questa terra. E Gesù passa loro davanti dicendo a questo e a quello: «Levati e cammina!», e si alzano guariti.

È su questa piazza, in questa processione, che non vi pare più di vivere in questo secolo, ma di essere ai tempi degli Apostoli e di Gesù e di vivere in una Palestina [manca il foglio 7].

cioè, per la guarigione degli altri e non per la propria.

Ma quando il cuore è caldo di amor di Dio, si portano in pace, ed anche con gioia, i dolori della vita. Questa è la grazia segnalata che la Santa Vergine ottiene agl’infermi a Lourdes. Tutti non guariscono, perché il miracolo è un’eccezione, però tutti ottengono la pazienza, la rassegnazione e alcuni, fin la gioia di patire. È questo uno dei fiori mirabili di Lourdes. Un cieco nel partire da quel luogo santo diceva: «Non sono guarito, ma non sarei più felice se vedessi P. Grani, presidente del nostro pellegrinaggio». Interrogata una giovane tisica, che sembrava un cadavere: «Siete contenta del vostro pellegrinaggio?»; «Sì, signore», rispose, «la Santa Vergine è sempre buona». «Vi ha fatto dunque qualche grazia?». «Per l’anima sì: mi ha ottenuta la rassegnazione a morire. Io le sono gratissima, e l’amerò più e meglio in Paradiso».

Questa pace e serenità di spirito negl’infermi, che non guariscono, ha strappato sensi di ammirazione nei più scettici ed increduli, che non sapevano trovare la ragione.

La Vergine per nostro amore è discesa a Lourdes: le rose le ha sui piedi, per indicarci, che la carità ha guidato i suoi passi. Come una madre che vede in pericolo il suo figliolo, non ne lascia ad altri la cura, ma vi corre essa in aiuto, così ha fatto Maria. E a Lourdes è discesa per tutti, accoglie tutti, nazionali e stranieri, ricchi e poveri, sani e malati, giusti e peccatori.

Tale dev’essere la nostra carità verso il prossimo, noi chiamati al sacerdozio che è ministero di amore e di sacrificio. Anzi le qualità di questo amore le possiamo vedere simboleggiate nella fontana della grotta. Zampilla essa dalla viva roccia; così la carità deve sgorgare dalla salda pietra della fede, altrimenti avremo la vana e volubile filantropia del secolo. La fontana è accessibile a tutti, senza eccezione, la carità la si deve usare con tutti, anche coi nemici. La fontana una volta scaturita, non cessò mai, la carità non deve illanguidirsi, ma continuare sempre nelle opere di misericordia. L’acqua della fontana è limpida e pura; così la carità non deve tollerare miscugli di altri fini nelle sue opere, ma deve avere per fine il puro amor di Dio.

E di questi fiori smaglianti del giardino di Maria moltissimi altri potrei numerarvi. Ma un ultimo sguardo.

Le funzioni notturne, per quel non so che di insolito, per la quiete che regna, per il maggior concentramento dello spirito, non distratto dalla vista delle cose, sono sempre assai suggestive.

Sono le otto di sera. La basilica è illuminata interamente da lampade elettriche variopinte; da lontano giunge il suono dell’Ave prima nelle voci profonde degli uomini e dopo anche in quelle delle donne; poi si scorgono lumi e lumi che si muovono sulle scale, sulle terrazze, sulle rampe del Santuario e si stendono lungo i viali. È la processione popolare delle fiaccole (aux flambaux, così chiamata), grandiosa nella sua semplicità, mirabile nel suo scompiglio! Quando la possiamo vedere e sentire interamente, ci esce un grido di meraviglia. Quella striscia di fuoco si allunga volta negli interminabili viali di tigli, gira attorno alla spianata amplissima, mentre il clamore dell’Ave Maria di Lourdes, lo stesso sempre, si succede in cento favelle, in cento ondate sonore, che si rincorrono e sovrappongono, e si rafforzano nei punti più espressivi del canto, accompagnate da un brusco levarsi delle fiaccole che paiono lanciate a gruppi verso il cielo. Quella fiumana di uomini e fuoco va a versarsi nel piazzale davanti alla chiesa e gira e rigira sopra se stessa come flusso e riflusso per attendere gli ultimi. Veduta dall’alto dei balconi, dalle scale, pare un lago in fiamme, colle onde agitate, che abbaglia; pare che le infinite stelle del cielo si rispecchino in terra, concentrandosi in quel punto solo, per servire da sgabello alla Vergine. Ad un tratto cessa il canto dell’Ave, e s’intona il Credo della Messa di Dumont, che tutti i francesi sanno. Nessuna penna potrebbe descrivere questo spettacolo di fede, di una grandiosità unica al mondo. Si crederebbe impossibile che tanta moltitudine conservasse il tempo e l’intonazione così perfetta: pareva un organo immenso in una basilica dalle pareti senza fine; ma un organo che ha sentimento, che ha vita, e trasfonde nel suono una fede che non è terrena.

Chi potrà dimenticare la grotta visitata a tarda sera, in mezzo a una folla che prega nel più profondo silenzio?

Niente è più toccante delle mille forme ingenue e delicate di quella tenera pietà: bisogna vedere da vicino quelle fronti piegate sulla roccia santa, quelle labbra ardenti che baciano avidamente il granito accarezzato da tanti favori, paiono bere a lunghi sorsi la speranza di grazie attese!

Fu là in quelle tarde sere che lo sguardo del pensiero discese maggiormente nell’anima, in un profondo che forse non era stato scandagliato mai così bene: Maria vi gettava un raggio luminoso. Fu là che senza sforzo ci si presentavano chiari ad uno ad uno e tutti insiemi i bisogni dello spirito e del corpo, per i quali occorre un aiuto celeste: i propositi, le fragilità, gli sforzi generosi, i doveri difficili, una riforma energica, una vittoria tante volte tentata e non conseguita ancora.

Là ci sorrise chiara e dolce l’immagine della casa lontana, di due teste bianche; sfilarono i volti amati che forse in quel momento ci sognavano, volti lieti, volti addolorati, ci parve di sentire sulle loro labbra il saluto del distacco: «Là ricordatevi di noi».

Lo staccarsi dalla grotta in quelle ore ci pareva rimorso ma sono ormai le 8 ci aspettavano all’asilo.

Arriviamo che le Basiliche sono illuminate interamente da lampade elettriche variopinte; da lontano ci giunge il suono dell’“Ave” prima nelle voci profonde degli uomini e dopo anche in quelle gentili e un po’ velate delle donne: poi vediamo lumi e lumi….

Ma ormai avete pazientato abbastanza ora finisco.

In questa benedetta valle di Lourdes un non so che di arcano misticamente avvince e commuove. Si può dire che nessuno è partito da Lourdes senza aver pianto. Sono lacrime di meraviglia, di stupore, di tenerezza, di riconoscenza, di amore a Gesù e Maria.

Un non so che di misterioso a Lourdes vi fa dire come San Pietro sul Tabor: «Quanto bene si sta qui!». E non vorreste mai staccarvi. Che schianto al cuore il giorno che si deve dire addio alla dolce grotta! Ma quella parola “addio” non vuol venire sulle labbra: si dice invece a Maria: «O cara Mamma arrivederci!».

Ad maiorem Dei gloriam

Fornasini Giovanni

 

In quella folla era rappresentata ogni condizione sociale: a Lourdes non si conosce il rispetto umano. C’erano le signore e le fanciulle, ma in maggior numero gli uomini e giovani, soprattutto giovani: molti apparivano distinti, molti ancora portavano la divisa militare.

Da l’alto del “Pic du Ter” splendeva la croce elettricamente illuminata: le tenebre nascondevano il monte e tutto quanto c’è d’intorno, ed essa pareva sospesa nel cielo stellato. Mi sovvenne della croce di Costantino, e vi lessi colla fantasia: «[In] hoc [signo] vinces…».

 

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